Il corpo che nasce. Gravidanza e parto come vie sapienziali
/2 Conferenza di Beatrice Benfenati presso l’associazione culturale Asia Modena, giovedì 2 dicembre 2010, per il ciclo di incontri “Il corpo sapiente”.

2° Parte

Il parto, il dopo-parto e la Via

 

Il parto: il sentire come valore da sostenere e non da sedare

Secondo me nel sentire che emerge durante il parto, anche se non è piacevole, c’è un immenso valore. Ci stiamo preparando alla responsabilità di mettere al mondo un bambino, non è uno scherzo. Non per i problemi economici o di tempo, che sono reali ma in fondo secondari. E’ una grossa responsabilità perché quel bambino andrà educato. Di questa responsabilità vedo purtroppo che ci si fa sempre meno carico: ci si dimentica che quel bambino non ha solo bisogno di soldi, di tempo e attenzioni, di futuro; ha bisogno di essere educato a qualcosa, a un valore. E ve lo chiederà. Non subito, ma ve lo chiederà. Vi ricordate quando avevate tredici, quattordici, quindici anni? Arrivano le crisi, mamma e papà non sono più perfetti, quello che dicono non è più oro colato a cui il bimbo crede e che assimila. Arriva l’adolescenza cominciano i dubbi, e comincia di nuovo quel sentire.

Cos’è un adolescente? Non è più un bambino, non è ancora un adulto. E’ in quella fase, come la donna nei primi mesi di gravidanza, dove non è più quello di prima e non è ancora diventato qualcos’altro. Di nuovo viene fuori quel sapore. Magari come contestazione, rabbia. Le domande vengono fuori in forma di sfide. Non è che vi sfidano perché vi odiano, vi sfidano perché in fondo vi stanno chiedendo: ma tu l’hai risolto quel problema che io sto sentendo? Mi capisci quando io sto male?

Con gli adolescenti è inutile dire: “Figlio mio, hai tutto, perché stai male?”. Più hanno tutto e più stanno male, proprio perchè ancora maggiormente viene fuori che non basta. Conoscete la storia del Buddha: si narra che vivesse in un palazzo regale, aveva una moglie bellissima, gli era appena nato anche un bambino, aveva proprio tutto, un futuro da re. Ma sentiva questo sapore e si chiedeva cosa fosse. Buddha ha avuto la fortuna di essere nato in una cultura che sosteneva quella domanda. Noi, quando vengono crisi di questo genere agli adolescenti e non sappiamo più cosa fare, diamo loro delle pillole per calmarli. Questo è terribile, gravissimo. I momenti più importanti della nostra vita, noi li sediamo.

Ecco che arriviamo quindi all’epidurale. “Dall’epidurale alla meditazione“, il titolo del mio libro, non è stato scelto a caso. Vorrei innanzitutto chiarire che non sono a priori contraria all’epidurale, l’analgesia che permette – si dice – di soffrire meno nel travaglio e nel parto. “Si dice” perché in realtà, proprio alcune ostetriche che lavorano in ospedale mi hanno detto che non è vero che con l’epidurale non si senta nulla. È questo è un grosso problema perché, se si dice alle donne che attraverso quest’analgesia non sentiranno più nulla, queste si aspettano di non soffrire per niente. “Ma tenete presente – diceva un’ostetrica – che l’anestesia si fa a un certo punto del travaglio, e per alcune donne le prime fasi sono le peggiori”. Se una donna pensa che non sentirà alcun dolore, il rapporto con quel sentire della prima fase del travaglio sarà ancora più negativo.

Detto questo, ripeto, non sono a priori contraria all’epidurale: in certi casi, in certi travagli particolarmente difficili e dolorosi forse è importante averla a disposizione.

 

Il dolore del parto: non suscitare la sfiducia

Quello che mi fa soffrire tantissimo – e per questo ho dato questo titolo al libro – è vedere come sempre più donne oggi si preparano a partorire con l’epidurale ma non per loro scelta: se durante le visite ginecologiche alla donna viene chiesto: “Vuol sentire male o no? Vuole l’epidurale o no?”, se questo è l’unico criterio, è ridicolo pensare che possano scegliere. Questa è un’offesa per la donna, perché le stanno in realtà dicendo: non sarai in grado di sopportare quel male, quindi forse è meglio che tu faccia l’epidurale.

Una donna del mio corso di yoga in gravidanza quando è entrata in ospedale ha detto che non voleva l’epidurale, che era pronta a partorire. L’operatore che era presente ha detto: “Va bene, va bene, tanto fra un po’ la farà, tanto la fanno tutte, figuriamoci se lei non me la chiederà!”. Ecco io questa la ritengo veramente una frase sbagliata, non capiamo che effetto di sfiducia ha sulla donna. Quella donna era una persona di grossa forza d’animo e ha detto: “Bene, vedrai che ce la farò”. E ce l’ha fatta. Però non sono tutte così. Dicendo una cosa di questo genere, l’operatore rovina un momento che potrebbe essere uno dei più significativi della vita della donna. Le toglie il terreno sotto i piedi, le dice subito che non sarà in grado. Ma non e’ vero, noi siamo perfettamente preparate a partorire! Se c’è qualcosa di tutelato dalla natura è proprio la procreazione, che la specie continui, quindi figuratevi se non siamo preparate a partorire! Il problema è che spesso non abbiamo una condizione che ci permetta di partorire bene.

Partorire bene significa partorire nel “sacro”; significa che tutte le persone presenti sanno che in quel momento si sta celebrando un rito, che non è solo un evento medico. Anche se magari per motivi medici o per nostre scelte partoriamo in ospedale o con un cesareo – io ho sempre scelto di partorire a casa, però qualcuno può benissimo non sentirsela o non potere partorire a casa – la sacralità c’è sempre! Perché la sacralità non dipende da come sarà quella nascita, ma da quello che accade in quel momento: una nuova coscienza si apre sul mondo esterno, una donna diventa madre, un uomo diventa padre e incontra suo figlio. Nascono tante persone in quel momento: nasce un bambino, nasce una madre, nasce un padre. È un rito che si sta celebrando e che non va assolutamente sedato se non c’è una reale necessità. Se la donna è preparata e ha intrapreso una Via che le fa capire che in quel sentire c’è un valore, se il parto non viene disturbato, vi assicuro che ne vale la pena anche se quel sentire non è piacevole. Le contrazioni non sono piacevoli per niente, negarlo sarebbe un inganno. Ogni volta che incontro Frédérick Leboyer discutiamo su questo; lui dice che non si sente male a partorire. Gli dico: “Tu fai presto, sei un uomo, non hai partorito, certo, fai presto a dire che non si sente male, sono sicura che tu non senta male!”.

È un male però che ha un valore, è un male al quale noi siamo perfettamente preparate. Preciso che in realtà Leboyer differenzia il male della contrazione (meno intenso) dal male del crampo all’utero (molto doloroso), che si ha quando la donna è a disagio e resiste alle contrazioni, e in questo ha perfettamente ragione.

Va capito il significato di quel dolore nella contrazione. È l’unico modo che il corpo ha per guidare la donna, guidare il bambino alla nascita. Quel dolore troppo intenso non è un nemico, ma dice alla donna: “Guarda, quella posizione non va bene, cambiala, cercane un’altra spostati, girati, altrimenti il bimbo non nascerà”.

 

Il dopo-parto: saper stare con intensità emotive difficili

In Occidente pensiamo con l’anestesia di poter separare senza conseguenze la mente che rimane cosciente dal corpo che viene reso muto; questo non solo nel parto ma in tanti altri momenti. Ma un corpo che non può parlare avrà difficoltà a produrre, per esempio, le endorfine naturali, così importanti per mamma e bambino!

Si sente sempre più parlare della depressione post-partum, un senso di malinconia, di tristezza che prende frequentemente le donne dopo il parto. Di nuovo la affrontiamo sedandone i sintomi, rendiamo muto il corpo. Ma anche quel sentire ha un valore!

Ricordo benissimo una donna molto giovane che è venuta al corso di yoga in gravidanza. Nei nostri corsi ci continuiamo a vedere anche dopo il parto, e una volta vedendola scossa le chiesi cosa sentiva nel suo dopo-parto. Rispose: “Ho una sensazione stranissima: io sono in casa e tutto a un tratto le cose mi sembrano immobili. Tutte lì, sembra che non stia succedendo nulla, perde tutto di senso. Questi ritmi lenti ai quali mi costringe il bambino, questa immobilità forzata, sembrano dire che è tutto fermo, tutto per niente.”

Ed io: “Bellissimo! E’ una cosa stupenda! Pensa che il tuo bimbo è lì e si sta facendo le stesse domande. Però… perchè tu ti senti disperata e lui no? Che cosa vorresti adesso?” E lei :”Vorrei solo che questi momenti passassero”. Le ho detto: “Ma in questo momento, io e te stiamo parlando e ti senti bene, ti chiedo: qual è il sapore più vero? Quello che viene fuori in quei momenti di perdita di senso o quello della quotidianità, a cui vorresti tornare al più presto?”

Lei ha aspettato un po’, poi ha detto “Quei momenti di perdita di senso!”.

“Allora sappi che questa è una grossa possibilità: se tu scappi ora da quei momenti, in futuro, quando tuo figlio comincerà a chiederti tanti “perché” sulla vita, tu non saprai sopportarlo. Lo zittirai perchè con le sue domande ti farà venire fuori ancora quel sapore dal quale adesso fuggi. E quando sarà adolescente e ti chiederà ‘Perchè mi hai messo al mondo? Che senso ha tutto questo?’ Cosa gli risponderai? Che gli hai dato tutto? È una risposta questa? È ora il momento di stare con quel sapore e lavorarci sopra. Se ci lavori adesso è per te, ovviamente, ma anche per tuo figlio. E un Via per lavorarci sopra, qui c’è”.

Quel sapore non va sedato. Noi abbiamo l’idea che ciò che non è piacevole sia da togliere; soprattutto in momenti come la gravidanza, la nascita, il dopo parto, c’è questa idea assurda che ci debba essere solo felicità, solo serenità. Non è vero, ed è giusto che non sia così perché, se ci fosse solo serenità, significherebbe che siamo inconsapevoli della grandiosità dell’evento che stiamo vivendo.

 

Le “Vie” per la gravidanza e il parto

Occorre un Via per vivere questi “momenti magici” dove lo strato di scontatezza si dirada, che non sono naturalmente solo la gravidanza, il parto, il dopo-parto, ma tanti momenti nella vita. Intendo il termine “Via” nel senso orientale. Noi abbiamo un’idea del corso per la gravidanza, il corso dalle 17 alle 19, una o due volte alla settimana etc., ma la Via è un’ altra cosa. Si trasmette anche attraverso corsi, in appuntamenti precisi, ma soprattutto è una qualcosa che si pratica costantemente, anche nei momenti più banali e che ci trasforma, ci educa, ci prepara giorno per giorno a vivere, a crescere, a educare, ad affrontare momenti difficili e le domande che in essi nascono.

La Via che propongo è lo Yoga e la Meditazione, ma penso che ce ne siano tantissime altre. In realtà ho iniziato anche a proporre l’Aikido in gravidanza, soprattutto con pratiche che educhino a coordinare mente e corpo, a sviluppare il Ki, attraverso la spada giapponese per esempio, e ho visto dei risultati incredibili. Proprio l’ultimo mese sono arrivati due messaggi stupendi di donne, che hanno vissuto proprio quello che ripeto spesso ai corsi, che il valore c’è sempre anche quando le cose non vanno come vorremmo.

Queste donne hanno avuto entrambe il parto completamente stravolto rispetto alle loro aspettative: una pensava di partorire a casa, un’ altra di partorire nell’ acqua in un ospedale specializzato. Entrambe invece hanno avuto due cesarei, dopo ore e ore di travaglio. Ma tutte e due ne sono uscite con una gioia incredibile, perchè avevano una Via che le sosteneva. Una ha scritto: “In quei momenti difficili, ero centrata. Tutto è andato a rovescio rispetto alle aspettative, però ho tenuto il punto nel basso addome e devo dire che è stato importantissimo.”

E l’altra ha scritto: “Tutto quello che avevo pensato e temuto è accaduto, e, nonostante tutto, ero pervasa da una calma profonda. Mi sentivo invincibile, inattaccabile, come quando tenevo in mano la spada.”

Queste sono cose estremamente importanti. È per questo che spero che qualcuno di voi mi dia un po’ di consigli su come proseguire, perché stiamo pasticciando tutto. In questi momenti dove viene fuori la sapienza più profonda che abbiamo, noi sediamo le donne, facciamo loro credere di non essere capaci di farcela.

Non solo attraverso l’epidurale, ma anche con queste migliaia di esami che si prescrivono. Oggi ormai – è una cosa incredibile – una donna in tre mesi di gravidanza fa più esami di quelli che ho fatto io in tre gravidanze. Affidandosi agli esami la donna sente che sarà qualcun’altro che sa come vanno le cose, non certo lei, rinuncia ad ascoltarsi, non sa più sentirsi. Ma nel suo corpo c’è tutto, il corpo ha una sapienza immensa che parla tantissimo. Vorrei che ci fossero operatori che chiedessero alle donne come stanno. Invece la donna va dall’operatore, dal ginecologo e chiede a lui come sta lei. Ma vi sembra possibile? Devo chiedere ad un altro come sto io? Ma è impossibile! Certo, non voglio dire che certi esami non vadano fatti, ma con buon senso! Occorre anche una Via che ci riporti a quel sentire che ci abita e che abbiamo dimenticato, che ci porti a stare con noi stessi e ad avere fiducia in ciò che sentiamo.

Lo Yoga, l’ Aikido, la Meditazione sono tra queste Vie. A volte il sentire parla con sensazioni piacevoli, a volte no. Ma non pensiamo che quelle non piacevoli siano meno importanti! Dobbiamo imparare a fare come fa il neonato che è acceso, guarda, non piange, non ride. E’ stupito!

Allora il mio sogno è questo: che ci siano sempre più genitori che attraversano questi momenti – la gravidanza, il parto, il dopo-parto – sapendo della sacralità di quello che sta accadendo. Che nascano sempre più bambini rispettati, al di là di come andrà il parto; anche un cesareo può essere rispettoso!

Che ci siano sempre più operatori capaci di sostenere – prima di tutto in se stessi – questi momenti intensi in cui si dirada la scontatezza. E poi capaci di sostenere i genitori in questi stessi momenti.

 

Dopo la nascita: andare a trovare un bambino appena nato

C’è un’ultima cosa di cui vi vorrei parlare: sarebbe bello che anche i parenti e i conoscenti riconoscessero l’intensità che emerge in una nascita e sapessero rispettarla. Sto male quando vedo questi bimbi nati da poche ore, con venti, trenta persone addosso, tutti che li guardano! Ma vi rendete conto? Un neonato ha bisogno di mamma e di papà, basta. Per i primi giorni vanno lasciati in pace. Invece abbiamo questa idea che, nasce un bambino, e bisogna andarlo a vedere. Vederlo sì, ma tra qualche giorno, non subito! Lasciamoli in pace! Il neonato e i genitori hanno bisogno di silenzio, di stare con loro stessi, in quella situazione nuova. Non andate a trovare i bambini appena nati, vi prego, andate a trovarli dopo un po’!

Dopo qualche giorno magari la nuova famiglia comincia ad avere bisogno di aiuto, sarebbe quello il momento in cui andarli a trovare per dare una mano. E invece che succede? Il primo giorno tutti lì a guardare, poi non va più nessuno! Tutto a rovescio!

Perché? Sapere che è nato un bambino fa emergere quel sentire che ci coinvolge tutti, come ho detto all’inizio; anche chi non ha mai avuto figli e non li avrà sente qualcosa, e non capisce cosa sta sentendo. Lì uno dovrebbe sedersi e meditare: “Cosa sto sentendo? Perchè la nascita di un bambino mi fa sentire questa cosa?”.

E invece no, c’è un sentire intenso e confuso, non sappiamo perché ci sentiamo così, e per placarlo cosa facciamo? Andiamo a vedere il bambino! E ci diciamo: “Ah, ecco chi è!”. Poi gli diamo un nome, naturalmente dobbiamo capire a chi assomiglia… Sediamo il sapore di mistero, chi è?.

Ma quel bimbo ha bisogno di silenzio! E anche noi avremmo bisogno di attimi di silenzio in cui ascoltare ciò che sentiamo e chiederci: cosa vuol dire ‘nascere’? Chi, cosa nasce?

Allora quando venite a sapere di una nascita, anziché andare subito a fare visita, sedetevi e meditate. I genitori non saranno tristi, ve lo garantisco, se non arrivano venti persone a trovarli. Non farete loro dispiacere, non si sentiranno soli, perchè hanno una presenza immensa con loro. Avranno molto piacere che se ci andrete un po’ più avanti, magari con un grembiule ad aiutare in casa perchè ci sono tante cose da fare!

E soprattutto andateci parlando poco: vicino a un neonato si sta zitti, si parla piano , si parla dolcemente. Si lascia parlare lui, dobbiamo imparare noi da lui e non lui da noi! Ci si lascia inondare da quel maestro che è in casa. Ma non subito. Siamo troppo umani noi, per i neonati. Hanno bisogno di silenzio, con la presenza solo di chi è transitato con loro in quel rito che è la nascita.

Se avete qualche domanda mi fa molto piacere, ma anche qualche consiglio per portare avanti questo sogno, che io sento fondamentale per tutte le future generazioni. Grazie.

 

Trascrizione: Valentina Boni, Roberta Cappi, Claudia Vignudini.

Redazione: Roberto Ferrari.

 

 

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